Published on Agosto 10th, 2021 | by Massimo Campi
0Il Circus conquista l’Est Europa
Il 10 agosto 1986 la F.1 corre in Ungheria – di Carlo Baffi.
Sono trascorsi 35 anni, da quando la Formula Uno mosse verso l’Est europeo varcando la famosa cortina di ferro. Il 10 agosto del 1986 infatti, si disputò il primo Gran Premio di Ungheria sul tracciato dell’Hungaroring alle porte di Budapest. Città che nel ’36 era stata teatro del G.P. di Budapest, riservato alla monoposto Grand Prix e corso nel parco cittadino, in cui s’era imposto Tazio Nuvolari su Alfa Romeo. Sta di fatto che il G.P. d’Ungheria fu un vero e proprio evento storico, dal momento che uno sport come quello motoristico espressione del capitalismo occidentale, faceva la sua comparsa in un paese della coalizione socialista del Patto di Varsavia. Certo, le tensioni legate alla Guerra Fredda s’erano un po’ placate e l’Ungheria di allora era una delle nazioni “più aperte”, anche se erano sempre presenti nelle caserme 130 mila soldati dell’Armata Rossa. Nulla però a che vedere col rigore della Bulgaria, o della stessa Germania Democratica, ma un Gran Premio nell’Europa orientale rappresentava comunque una novità significativa sotto il profilo politico. Un’iniziativa nata dalla mente di Tamas Rohonyi, un collaboratore di Bernie Ecclestone. Costui era nato in Ungheria, dalla quale fuggì dopo l’invasione dei carri armati sovietici nel 1956. Conseguì una laurea in ingegneria, trovò impiego presso la Roll Royce, dopodichè emigrò in Brasile dove fu assunto dalla Goodyear. Successivamente Rohonyi incontrò Ecclestone, entrando quindi a far parte del Circus. In un giorno del 1985, azzardò al “Supremo” l’idea di organizzare un Gran Premio in Ungheria, dove aveva ancora parecchi contatti. Ecclestone non rimase indifferente a quella proposta e diede il suo assenso. Rohony scrisse allora una lettera al ministro dei trasporti magiaro e tutto ebbe inizio.
Il progetto venne accolto favorevolmente dal governo locale e si mise in moto tutta la macchina burocratica. Nacque un comitato organizzatore di cui facevano parte l’AC d’Ungheria, le agenzie turistiche Ibusz e Coopturis, l’azienda statale di costruzione delle strade e l’azienda nazionale dei trasporti. Per quanto concerne la parte economica, entrarono in gioco le banche di stato. Se un primo preventivo s’aggirava intorno ai sette miliardi di vecchie lire, ben presto i numeri lievitarono sino a raggiungere i quaranta miliardi. Del resto si partiva da zero, con un intero impianto da costruire. Dalle strutture alle strade per raggiungerlo, visto che intorno al piccolo centro di Mogyorod c’era tutta una zona agricola. Un investimento ingente e a lungo termine, tant’è che il piano finanziario prevedeva un rientro delle spese nell’arco di sei anni. Inoltre, vista la discreta apertura verso i mercati occidentali del paese, l’iniziativa confidava anche sull’arrivo di possibili sponsor. E a pochi giorni dall’evento, sui cartelloni pubblicitari spuntarono i marchi dell’Aeroflot (la compagnia di volo sovietica) e di altri tre gruppi made in Urss. Ovviamente i costi comprendevano anche l’onorario, stabilito dalla FOM di Ecclestone, cifra da pagarsi in dollari (quasi un paradosso per un paese d’’oltre cortina). La pista misurava 4.013 metri e presentava parecchie curve, che la rendevano lenta e poco selettiva. Particolarmente critico fu il commento di Nelson Piquet, dopo le due ore di prove libere concesse ai piloti il giovedì. ” I tornanti sono tutti uguali – dichiarò il brasiliano – non vi è spazio per la fantasia del pilota. Si deve guidare un po’ come dei ragionieri. Non c’è nessun curvone veloce che esalti l’abilità del singolo e non vi sono nemmeno frenate dove ci si possa permettere staccate al limite.” Sotto il profilo della sicurezza invece non c’era nulla da eccepire, date le ampie vie di fughe, al contrario di altri circuiti in cui il mondiale faceva tappa in quegli anni. Il venerdì, la prima sessione di qualifiche vide il predominio delle Williams motorizzate Honda, con Nigel Mansell (leader del mondiae) e Piquet. A seguire Ayrton Senna sulla Lotus-Renault, Gerhard Berger sulla Benetton-BMW, Alain Prost sulla McLaren-TAG Porsche e la sorprendente Lola-Ford con Alan Jones. Le due Ferrari di Michele Alboreto e Stefan Johansson navigavano più indietro, rispettivamente al nono e dodicesimo posto. Il giorno successivo la pole fu appannaggio di Senna che fermò i cronometri sul tempo di 1’29”450 alla media di 161,547. Una prestazione super (sesto dominio stagionale in qualifica), che il brasiliano cercò di migliorare ulteriormente, ma finì in testa-coda per due volte consecutive nella stessa curva. Senna precedette il connazionale Piquet e Prost. Mansell invece, nel giorno del suo 32esimo compleanno festeggiato firmando il rinnovo biennale con la Williams, dovette accontentarsi del quarto tempo. Precedeva Rosberg (McLaren) e Tambay (Lola). Ferrari ancora nelle retrovie: Johansson settimo ed Alboreto 15esimo, costretto a fermarsi mentre stava perdendo una ruota. E arriviamo così alla domenica, quando circa centoquarantamila persone affollarono il nuovo autodromo dell’Hungaroring. In tre giorni si contarono 240mila spettatori per un incasso di ben sei miliardi e mezzo di lire. Al via, Senna mantenne la testa seguito da Mansell, Piquet, Tambay, Prost e Jones. Mentre il capofila guidava il gruppo, si accendeva la lotta in casa Williams, con Piquet che sopravanzava Mansell. Con Nelson a caccia di Ayrton si preannunciava un duello parecchio avvincente, visto il grande antagonismo tra i due connazionali. All’11esima tornata la Williams numero 6 balzò in testa, ma la Lotus nera ed oro di Senna non si fece staccare, a differenza di Mansell che perse via via terreno. Al 35esimo giro iniziarono le soste ai box. Il primo a fermarsi fu il leader Piquet, che cedette così la prima posizione a Senna, il quale forzò il ritmo per accumulare vantaggio in vista del suo pit-stop. Il talento della Lotus, forte del margine guadagnato, imboccò la pit-lane al passaggio 43 e tornò in pista ancora primo con 7” di vantaggio su Piquet. L’alfiere della Williams però aveva fame di vittoria e così diede gas. Così al 54esimo dei 76 giri previsti raggiungeva il suo “nemico”. Dopo essersi portato negli scarichi di Senna lungo il rettilineo di partenza, sferrò l’assalto alla staccata della prima curva.
Il pilota della Lotus però allargò la traiettoria costringendo l’avversario (passatogli davanti) ad entrare nel tornante all’esterno, da qui Nelson dovettr desistere e abortire il tentativo. Due tornate dopo si ripetè il copione, sempre nello stesso punto. Piquet pigiò a fondo sull’acceleratore superando all’esterno Senna, che restando all’interno contò di replicare con la stessa manovra difensiva di prima. Ma questa volta Nelson, sfoggiando un grandissimo controsterzo riuscì a tenere la traiettoria mantenendo la testa nonostante la velocità elevata. Ed una volta uscito dalla curva, controllando la sua Williams soffiò la leadership ad Ayrton. Un sorpasso magistrale che entrò di diritto nella storia della Formula Uno e che lanciò Piquet verso un meritato trionfo. Sotto la bandiera a scacchi, Senna precedette Mansell ed un arrembante Johansson. Poi giunsero Dumfries (Lotus) e Brundle (Tyrrell). Non mancarono le polemiche a fine gara tra i primi due. Piquet bacchettò con parole forti Senna in merito al duello in pista:” Ayrton è il solito scorretto, mi ha chiuso due volte in maniera oscena. La prima in rettilineo quando ho cercato di sorpassarlo, la seconda volta quando l’ho fatto fesso nel mio tentativo di sorpasso riuscito. La replica del paulista non si fece attendere:” Bisogna capire come vede le corse Nelson. Per me non c’è stato nulla di anormale. Chiaro che quando lui era dietro, io non ho fatto complimenti. Ma quando mi ha passato, è stato lui a rischiare. Ha commesso un errore e per poco usciva di pista. Poi mi ha chiuso la porta in faccia e sono stato io ad evitare un grosso incidente.” Un botta e risposta figlio di una faida destinata a proseguire anche negli anni successivi. Sempre in quel dopo corsa però, Piquet fu caustico anche verso Mansell, rivelando di aver fatto fare una modifica alla sua monoposto senza dirlo al compagno. “Dopo il Gran Premio d’Inghilterra, – rivela il brasiliano – io e Mansell lavoriamo come se fossimo in squadre separate. E’ chiaro che se trovo una soluzione di assetto vantaggiosa per la gara, non vado certo a rivelargliela. Mansell è il mio avversario più pericoloso perché ha la mia stessa vettura.” Dopo il Gran Premio d’Ungheria, 11esimo round del mondiale, la classifica vedeva Mansell ancora primo con 55 punti, seguito da Senna a 48 e Piquet salito a 47. Diversa invece la situazione tra i costruttori con la Williams-Honda saldamente al comando a quota 102 e McLaren e Lotus, rispettivamente seconda e terza a 63 e 50. La Ferrari invece aveva solo 16 punti. La lotta tra il duo Williams proseguì fino all’ultimo Gran Premio, ma nel frattempo era spuntato un terzo incomodo, Alain Prost con la McLaren.
E sul tracciato cittadino di Adelaide fu proprio il transalpino a conquistare la corona iridata beffando Piquet e Mansell vittime di una strategia suicida del loro team. La Williams si consolò col titolo costruttori. In conclusione, il primo Gran Premio d’Ungheria fu un enorme successo e dall’86 rimase un appuntamento fisso del Circus. Sulle orme dell’Ungheria, altre città dell’Est europeo si fecero subito avanti per entrare nel calendario della F.1: parliamo di Brno e Tallin. Però non ci furono sviluppi. Poi nel 2014 prese corpo un altro progetto di Ecclestone, ovvero un Gran Premio in Russia. Per la verità “Mister E” sognava di portare il Circus addirittura sulla Piazza Rossa, su un tracciato intorno al Cremlino, quando c’era ancora l’Unione Sovietica. Purtroppo per lui questo non si avverò mai e dovette “accontentarsi” di vedere le monoposto sfrecciare sulla pista di Sochi, in riva al Mar Nero. Un tracciato cittadino ricavato attorno agli impianti costruiti per i Giochi Olimpici invernali del 2014.
Immagini © Raul Zacchè/Actualfoto