Published on Agosto 1st, 2021 | by Massimo Campi
0Niki Lauda e l’inferno del Nurburgring 1976
Di Carlo Baffi
1 agosto 1976: il tremendo rogo che segnò la carriera del tre volte Campione del Mondo di Formula Uno.
“Lauda ferito e ustionato è ora in pericolo di vita”. Così titolava in prima pagina “La Gazzetta dello Sport” lunedì 2 agosto 1976. Analoga apprensione anche nei titoli degli altri maggiori quotidiani, non solo italiani bensì internazionali. Il giorno prima infatti, il Gran Premio di Germania al Nurburgring, era stato funestato da un terribile incidente che aveva avuto come sfortunato protagonista Niki Lauda: il Campione del Mondo in carica della F.1. Uno schianto destinato ad entrare nella storia del motorsport e a segnare in modo indelebile la carriera del fuoriclasse austriaco, allora pilota della Ferrari. A 45 anni di distanza ripercorriamo le tappe di quella vicenda partendo dallo scenario in cui si svolsero i fatti, ovvero il tracciato del Nurburgring.
Un nome che tradotto letteralmente significa, l’anello intorno al castello di Nurburg, di cui sono presenti ancora le rovine. Una pista iniziata a costruire nel 1925 ed inaugurata nel 1927, nota anche come Nordschleife, che ha da sempre rappresentato uno spauracchio per tutti i piloti, con gli oltre 22 km che attraversano i boschi della regione dell’Eifel. Saliscendi continui, curve velocissime senza via di fuga con alberi a bordo della carreggiata e con le condizioni atmosferiche che mutano repentinamente passando dal sole alla pioggia, fino alla nebbia. Non a caso venne ribattezzato anche “l’Inferno Verde”. Si narra che a disegnare quel tracciato fosse stato il diavolo in persona col suo forcone. Leggende a parte, col passare degli anni ed il progresso delle monoposto quella pista era divenuta sempre più obsoleta e pericolosa. Non a caso il grande Jackie Stewart, parlando del Nurburbring disse che in caso di uscita di strada, il vero problema era capire immediatamente dove cercare il pilota per poterlo soccorrere tempestivamente. Il G.P. di Germania del 1976 era il decimo round di una stagione che fino a quella gara era stata dominata dal Cavallino. Lauda comandava la classifica piloti con 61 punti, seguito da Jody Scheckter (30) e James Hunt (26). Era in pratica il preludio alla conquista della seconda corona iridata dell’austriaco. Ma nonostante ciò, a Maranello s’erano verificate delle tensioni. Qualche settimana prima Enzo Ferrari aveva incontrato Niki per discutere il rinnovo del contratto. Una decisione strana visto che Ferrari era solito tenere i suoi piloti sulla corda per buona parte del campionato in modo che i posti nelle altre scuderie si esaurissero e lui potesse negoziare a prezzi bassi. Ma con Lauda saldamente in testa alla classifica, forse cercò di blindarlo per il futuro, ben conscio del suo valore. Il meeting si tenne in una saletta del ristorante “Il Cavallino” a Maranello e dopo un inizio pacato, la discussione degenerò quando si affrontò il tema del compenso. Ferrari s’infuriò dando del pazzo a Niki, offrendogli una somma minore di un quarto. Per contro Lauda non accettò, ribattendo che gli era stata promessa un cifra superiore da Daniele Audetto (il direttore sportivo), che confermò tutto. E per rincarare la dose, l’austriaco aggiunse che senza di lui la Ferrari non sarebbe mai diventata Campione del Mondo. Frase che alterò ulteriormente il Drake, che solo a fronte di un rilancio inferiore del 4% si calmò, dando il suo assenso e tornando cordiale. Dunque pace fatta….almeno per il momento. Del resto erano si fronteggiavano due uomini dalle forti personalità, che s’erano scontrati in precedenza. Altro elemento da tenere in considerazione che potrebbe aver minato la serenità di Lauda fu l’obiezione che proprio in quel periodo egli stesso sollevò sul Gran Premio tedesco.
Spalleggiato da altri colleghi, tra cui il due volte iridato Emerson Fittipaldi, reputava la Nordschleife inadatta ed insicura per le prestazioni delle monoposto di quegli anni. Non a caso se non si fossero realizzate migliorie, la gara sarebbe emigrata ad Hockenheim dall’anno successivo. Il Gran Premio del ‘76 prevedeva 14 giri per una distanza complessiva di 319,690 km (22,835 km al giro). In ogni tornata venivano affrontate 73 curve e come detto sopra, lo stress non riguardava solo il pilota a cui non era consentita alcuna distrazione, bensì pure il mezzo meccanico. I continui cambi di marcia mettevano sotto pressione motore e trasmissione, per non parlare delle gomme e delle sospensioni sollecitate da ripetute e forti vibrazioni. La polemica si fece sempre più accesa ed attirò contro Niki parecchie critiche da parte degli organizzatori e della stampa locale, che lo tacciarono di essere un fifone. Incurante di ciò, il ferrarista proseguì la sua battaglia, finchè a ridosso della gara ci fu una votazione tra i piloti. Parte di essi era pronta a boicottare la gara, ma alla fine prevalsero i si e la manifestazione ebbe luogo. A posteriori quell’insistere di Lauda a non volere correre sul “Ring” parve quasi un presagio a quanto sarebbe accaduto il 1 agosto. Le qualifiche videro James Hunt conquistare la pole con il tempo di 7’06”5 al volante della McLaren-Ford, davanti a Lauda (7’07”4) che si piazzò secondo quasi allo scadere della sessione. A seguire Depailler (Tyrrell-Ford), Stuck (March-Ford), Regazzoni (Ferrari), Laffite (Ligier-Matra), Pace (Brabham-Alfa Romeo) e così via. Quando la corsa prese il via alle 15.22 italiane, nella zona del traguardo pioveva sicchè i concorrenti montarono le gomme rain. Tutti tranne Jochen Mass (compagno di Hunt alla McLaren) che partì con le slick, grazie alla segnalazione di un amico che aveva notato che le altre parti del circuito erano asciutte. Infatti, dopo aver percorso il primo giro, gran parte dei piloti decisero di proseguire la gara con le gomme d’asciutto; anche perché la pioggia era cessata. Così fece pure Lauda che rientrando in pit-lane perse alcune posizioni. Ovviamente non c’erano ancora le termocoperte e le Goodyear che vennero montate sulla Ferrari numero uno erano fredde, in linea col clima di quella regione. Il ferrarista ripartì velocissimo per rimontare il terreno perduto. Malauguratamente giunto nei pressi della curva di Bergwerk, vuoi per gli pneumatici non in temperatura, vuoi per una pozza o un cordolo bagnato, perse il controllo della sua 312T2. Andò in testa coda sbattendo violentemente contro il guard-rail e la roccia situati a bordo pista. Fu un urto violentissimo in seguito al quale la Ferrari prese fuoco e tornò in pista venendo investita dalla Surtees di Brett Lunger. Furono attimi terribili con Niki imprigionato tra i rottami infuocati e senza casco perso nel botto. Solo il provvidenziale intervento di Arturo Merzario, aiutato da Guy Edwards, Brett Lunger e Harald Hertl, evitò all’austriaco una morte certa. Purtroppo complice la lunghezza del percorso, non erano garantiti come in altri impianti postazioni di commissari e soccorsi ogni trecento metri e non era presente nemmeno l’elicottero. Ecco quindi il ruolo determinante di questi uomini che scesi dalle loro monoposto soccorsero subito il malcapitato, incuranti del grosso rischio che la 312T2 esplodesse. La memoria corse immediatamente al tragico rogo in cui tre anni prima aveva perso la vita a Zandvoort, il 25enne inglese Roger Williamson. Merzario fu il primo a gettarsi tra le fiamme, ma dovette desistere. Poi grazie all’aiuto di Hertl che con un estintore aprì un sentiero nell’incendio, il coraggioso driver della Wolf Williams-Ford raggiunse l’abitacolo e riuscì con notevole fatica a liberare Niki bloccato dalle cinture di sicurezza.
Furono attimi che sembrarono un’eternità. Una volta estratto dalle lamiere incandescenti, Lauda venne adagiato sull’erba circostante. Era cosciente e rivolto a Merzario gli chiese come fosse ridotto il suo volto. Malgrado questi primi interventi le condizioni di Niki apparvero gravi, sia per le ustioni, che per i gas tossici (sprigionatisi dall’incendio) inspirati che avevano danneggiato sangue e polmoni. La gara venne immediatamente sospesa e sul luogo giunsero finalmente i sanitari che trasferirono il pilota all’ospedale di Adenau. Qui arrivò Audetto accompagnato da Huske von Hanstein, il direttore della prova. Sebbene Lauda fosse ancora lucido, i medici si dissero molto preoccupati in quanto il sangue del paziente si stava velocemente intossicando. Grazie a von Hanstein, Niki venne allora trasferito su un elicottero militare presso il centro ustionati di Ludwigshafen, dove era situata una base Nato e successivamente alla clinica di Mannheim dove c’era un reparto specializzato nelle patologie polmonari. Durante il trasporto l’austriaco ebbe comunque modo di dire ad Audetto di avvisare la moglie Marlene, sposata pochi mesi prima. Una volta in ospedale gli venne praticata la tracheotomia e grazie alle trasfusioni venne scongiurato il peggio; ma restava in pericolo di vita. Audetto intanto teneva aggiornato Ferrari, il quale con il suo consueto cinismo, lo invitò a far ritorno in pista:” Cosa fa in ospedale, non è mica un dottore? Piuttosto vada da Fittipaldi e gli chieda se vuole correre per noi.” Frase che Lauda non perdonò mai al Drake. Marlene giunta al capezzale del marito constatò di persona la drammaticità della situazione, ma facendosi forza riuscì comunque a comunicare a gesti col marito, il quale volle sapere l’esito della corsa. Dopo la sospensione infatti, ci fu una seconda partenza e sotto la bandiera a scacchi transitò vittorioso Hunt, precedendo Scheckter e Mass. Per alcuni giorni Lauda rimase tra la vita e la morte e gli venne data l’estrema unzione. Ma poi accadde il miracolo! Grazie ad un fisico eccezionale ed alla grande tenacia che l’ha sempre contraddistinto, l’austriaco iniziò a riprendersi. Fu lui stesso a raccontare in seguito che essendo cosciente aveva sentito i medici dire:” …Se vuole vivere, deve farlo lui. Deve cercare di restare sveglio e lottare.” Parole che innescarono una grande reazione ed una ripresa sorprendente. Dopo una settimana s’iniziò a vociferare di un ipotetico ritorno nel G.P. del Canada in programma agli inizi di ottobre. I tempi erano però destinati ad essere ancora più brevi. Nel frattempo il mondiale era proseguito. Se il Gran Premio successivo al Nurburgring, in Austria, era stato disertato dal Cavallino, in Olanda scese in pista soltanto Regazzoni che si piazzò secondo alle spalle di Hunt, che si faceva sempre più minaccioso nella corsa al titolo: solo due lunghezze lo dividevano dal ferrarista capoclassifica. Lauda però non era certo intenzionato a gettare la spugna. Voleva tornare in pista il più in fretta possibile non solo per difendere la corona iridata, ma per dimostrare a se stesso e a tutti che la sua carriera non era giunta al capolinea. Ancora convalescente ed in piena riabilitazione, Niki seguiva attentamente ciò che accadeva a Maranello e riuscì ad opporsi in tutti i modi all’arrivo di Ronnie Peterson, contattato dopo il rifiuto di Fittipaldi. Lo svedese era già arrivato in Italia per fare il sedile, ma fu costretto a tornare a casa. D’altronde il Commendatore non sapendo il destino di Lauda, intendeva cautelarsi sia per il futuro che per il presente, cercando un pilota che rubasse punti ad Hunt. Ecco quindi spiegato l’ingaggio di Carlos Reutemann che lasciò in tutta fretta la Brabham di Bernie Ecclestone. Ma tutte queste iniziative infastidirono e non poco Niki, il quale dopo soli 38 giorni dallo schianto entrò nell’ufficio di Ferrari a Maranello annunciando che intendeva salire sulla sua rossa per preparare il rientro a Monza. Era martedì 8 settembre ed il Gran Premio d’Italia era in programma 12. Accanto a lui c’era Willi Dungl, il suo fido preparatore atletico. Si trattò di un vero e proprio colpo di scena che prese un po’ tutti in contropiede. Logicamente non mancò lo scetticismo, primo fra tutti da parte del Commendatore. Le ferite sul capo dell’austriaco erano ancora aperte al punto che gli venne realizzato un casco apposito con particolari imbottiture. Una volta calatosi nell’abitacolo della 312T2, Niki fece qualche passaggio dopodichè tornò ai box. Giusto il tempo di farsi sistemare le cinture e riprese a girare. Percorse trenta tornate accompagnato dall’entusiasmo dei tanti tifosi del Cavallino accorsi a Fiorano. La fatica non fu indifferente, ma alla fine il Campione del Mondo sfiorò il record della pista. Una prestazione che fugò tanti dubbi e che convinse sulle capacità fisiche e psicologiche del ferrarista per poter affrontare la corsa monzese. Un annuncio che venne dato in una conferenza stampa improvvisata davanti ai tanti giornalisti presenti a quello storico test. Lauda dichiarò che non andava a Monza per vincere, bensì per verificare le sua forma al fine di poter difendere il titolo. Un ritorno sicuramente molto gradito, che però creava un problema per il neo assunto Reutemann. I vertici della rossa decisero così di schierare tre piloti: Lauda, Regazzoni e lo stesso Reutemann. Nel venerdì di prove del G.P. d’Italia, il destino non fu certo magnanimo con Lauda, che dovette scendere in pista sotto una pioggia battente. Per sua stessa ammissione i primi giri furono durissimi. Però grazie ancora una volta alla sua forza di volontà riuscì a superare le non poche difficoltà e paure. Anziché rincorrere la prestazione, cercò di acquistare gradatamente confidenza con la monoposto e dopo aver siglato il 5° tempo in prova (migliore dei tre ferraristi) chiuse la gara al 4° posto, recuperando punti preziosi su Hunt ritiratosi al 12esimo passaggio per noie alla sospensione posteriore. L’epilogo di quel campionato del mondo sarebbe andato in scena all’ultimo gara in Giappone, alle pendici del monte Fuji. La battaglia finale contro James Hunt fu combattuta sotto un diluvio che mise a rischio la disputa della corsa. Lauda si ritirò dopo soli due passaggi. I fantasmi del “Ring” erano tornati a palesarsi nella sua mente, forse non ancora preparata ad affrontare uno stress così forte. Hunt partito dalla pole, arpionò in extremis il terzo posto e si laureò campione per un solo punto. Mauro Forghieri, responsabile tecnico del Cavallino, offrì a Niki la possibilità di imputare quell’abbandono ad un problema elettrico, ma l’austriaco si assunse tutta la responsabilità mostrando il coraggio di aver avuto paura, come titolò “Il Corriere della Sera”. Questa decisione fu molto criticata, anche da Enzo Ferrari, ma rivelò il lato umano di un fuoriclasse spesso definito un robot, freddo e calcolatore.
L’austriaco tirò dritto e nel 1977 rivinse il mondiale, ancora al volante di una rossa. Fu il modo migliore per prendersi la meritata rivincita. Nel 1984, conquistò il suo terzo titolo con la McLaren a coronamento di una carriera da incorniciare. Purtroppo però i postumi di quel terribile 1 agosto ’76 avrebbero condizionato la vita di Niki. Al di là delle cicatrici presenti sul suo viso, i danni irreversibili provocati dai gas minarono il suo fisico in modo irreversibile e dovette sottoporsi a vari trapianti: un polmone e due reni. Andreas Nikolaus Lauda si spense nella notte tra il 20 ed il 21 maggio del 2019 a causa di sopravvenuti problemi renali, lasciando un vuoto incolmabile nel Paddock. Palcoscenico che aveva frequentato fino all’anno prima al fianco del team boss Mercedes, Toto Wolff, contribuendo ai trionfi delle Frecce d’Argento pilotate da Nico Rosberg e Lewis Hamilton. Per quanto concerne il Nurburgring, l’incidente di Lauda sancì il definitivo abbandono della Nordschleife da parte del Circus dopo il 1976.