Storia

Published on Gennaio 10th, 2021 | by Massimo Campi

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Ignazio Giunti, la tragedia del 10 gennaio 1971

Alla 1000 Chilometri di Buenos Aires, un’assurda manovra di Jean-Pierre Beltoise causò un tragico incidente in cui perse la vita Ignazio Giunti, pilota di grande signorilità e classe.

di CARLO BAFFI

Autodromo “Oscar Alfredo Galvez”, 10 gennaio 1971. Sono le 9 e 55’ locali. E’ in corso di svolgimento la “1000 Chilometri di Buenos Aires”, prima prova del Trofeo Internazionale Marche riservato alla categoria sport prototipi. Da circa un’ora e mezza i concorrenti si danno battaglia sui 6121 metri dell’Autodromo Municipale della capitale argentina. Al comando c’è la Ferrari 312P della coppia Giunti-Merzario, che cerca di allungare il vantaggio di circa 44” sulla favorita Gulf-Porsche 917 del duo Rodriguez-Oliver, partita dalla pole. Dietro inseguono le altre due 917 pilotate da Larrousse-Elford e Bell-Siffert. Al box della Matra è attesa la 660 pilotata dal 34enne francese Jean-Pierre Beltoise, che partito col 6° tempo occupa la sesta piazza. L’equipe transalpina ha previsto una sosta dopo il 38° passaggio per rifornire e far salire in vettura l’altro pilota, il francese Jean-Pierre Jabouille. Anche la Ferrari aspetta il rientro del leader Giunti, che dovrà cedere il volante ad Arturio Merzario.

La Matra però tarda ad arrivare. Forse è successo qualcosa. La marcia di Beltoise procede infatti a rilento. Il suo motore Simca tossisce ed il segnalatore della pressione è sullo zero: si trova praticamente a secco. Il francese si affida alla riserva, sperando così di raggiungere la pit-lane. Innesta la marcia, ma il carburante non arriva e la Matra si ferma a metà della curva a gomito che immette sul rettifilo delle tribune. Se il cambio fosse stato in folle la vettura non si sarebbe bloccata. Beltoise non ha alcuna intenzione di alzare bandiera bianca, gli manca qualche centinaio di metri per raggiungere la meta dove potrà fare il pieno e riprendere la gara. Esce quindi dall’abitacolo ed inizia spingere da dietro la sua 660. Deve portarsi da sinistra a destra per andare in direzione della corsia box. Spinge per un poco e poi si ferma. Si porta in prossimità dell’abitacolo per correggere lo sterzo e torna in coda alla vettura e riprende a spingere. Tutto ciò per duecento metri zigzagando al fine di sfruttare la pendenza, mentre attorno a lui passano gli altri concorrenti. Una scena allucinante di crescente pericolo, che ha luogo sotto gli occhi di tutti, organizzatori compresi. L’azione di Beltoise prosegue fino a quando sopraggiunge la Ferrari 512M di Mike Parkes della scuderia Filippinetti, tallonata dalla rossa ufficiale Giunti. Entrambi viaggiano ad oltre 200km/h. Il francese si accorge delle due macchine e per timore di essere investito, si sposta immediatamente verso destra abbandonando la macchina, che rimane immobile in mezzo alla pista. Parkes essendo davanti, vede la Matra e riesce a scartarla. Giunti invece no. Si trova improvvisamente davanti la 660 e purtroppo l’urto è inevitabile! La parte anteriore destra della Ferrari colpisce la posteriore sinistra della Matra. La 312P inizia a girare su se stessa andando a sbattere a sua volta a destra per arrestarsi al centro della carreggiata vicino alla linea d’arrivo, avvolta dalle fiamme.

Il vapore presente nei serbatoi contenenti circa 60 litri di carburante ha causato un’esplosione. Giunti è bloccato all’interno dell’abitacolo, dai rottami del telaio e dalle cinture. Quando i vigili del fuoco domano l’incendio, i soccorritori riescono ad estrarre il pilota. Purtroppo però non respira più. Si cerca allora di rianimarlo con un massaggio cardiaco ed ecco che il cuore ricomincia a battere. Viene allora deciso di trasportarlo al Policlinico Fernandez. Ma una volta sull’ambulanza, la situazione precipita nuovamente e quando Giunti arriva all’ospedale intorno alle 14.40 (ora italiana) è privo di vita. La tragica notizia verrà comunicata ai familiari del pilota che vivono a Roma intorno alle 16. Secondo il referto, la vittima presenta ustioni di terzo grado per oltre il 60% del corpo ed altrettanto gravi sono le fratture subite alle vertebre cervicali. Si parla anche di uno scompenso cardiaco provocato dallo choc. Franco Lini illustre giornalista di Autosprint ed ex direttore sportivo della Ferrari, invia un telex al proprio direttore Marcello Sabbatini:” Giunti è morto, chiamatemi subito.” Quella stessa sera alla “Domenica Sportiva” sulla prima rete della Rai, l’inviato Lino Ceccarelli, grande amico di Giunti racconterà la sciagura in un collegamento telefonico con il conduttore Alfredo Pigna, seguito da un commento in studio di Mario Poltronieri. Appena dopo lo schianto sul circuito regna la confusione, il fuoco si è esteso lungo la pista per via dell’olio fuoriuscito dalle vetture, costringendo i concorrenti ad arrestarsi. Contemporaneamente in corsia box, si verifica un secondo incidente mortale. Il fotografo argentino Carlos Solari, dopo essersi sporto eccessivamente dalla tettoia del box Matra, precipita a terra e muore sul colpo. Beltoise intanto si aggira sconvolto col casco in mano. Non parla e l’ingegnere capo della Matra, Georges Martin cerca di calmarlo. I giornalisti sono intorno a lui, ma nessuno osa fargli alcuna domanda sull’accaduto. Corre voce  che alcuni spettatori abbiano lanciato insulti al francese e che i meccanici Ferrari, ancora scossi lo abbiano strattonato. Notizie che verranno smentite il giorno successivo da Beltoise stesso. La corsa riparte più tardi in un clima assurdo, in cui regna una confusione totale. Nelle corso delle ultime fasi, il francese Rouveryan è protagonista di una manovra identica a quella di Beltoise, spingendo la sua Lola T210. E pure questa volta nessuno lo ferma. La classifica finale inizialmente resta subjudice per via di un problema dei cronometristi, i cui strumenti si sono bloccati all’ultimo passaggio (il 165esimo); ma poi viene ufficializzata. La vittoria va alla Porsche 917 di Bell e Siffert, davanti alla vettura gemella di Pedro Rodriguez ed Oliver. Al terzo e quarto posto giungono le Alfa Romeo Autodelta T33 degli equipaggi Stommelen-Galli e De Adamich-Pescarolo. Nel frattempo Beltoise è stato accompagnato da alcuni poliziotti in un commissariato nella zona del circuito, per deporre sulla vicenda. Tornato poi in circuito incontra nuovamente i giornalisti ai quali spiega il suo gesto: ” Ammetto che non avrei dovuto farlo, ma sul momento coi box tanto vicini, la sola cosa che mi premeva era di tentare di riprendere la corsa. In certi momenti non ci si pensa tanto. Però credo che se i segnalatori avessero sbandierato le bandiere gialle, gli altri piloti mi avrebbero visto subito ed evitato. Io sono convinto che le bandiere non c’erano. Non capisco poi come sia accaduto che Giunti non mi abbia visto perché io li ho visti tutti e due (Parkes e Giunti ndr.) e quindi anche loro dovevano vedermi.” ll giorno successivo il francese, molto depresso, è assediato ancora dalla stampa nella sua camera all’Hotel Coty di Buenos Aires, dove confessa di aver avvertito il pericolo ed imputa alla fatalità la causa della tragedia. “Io ho visto la bandiera gialla che segnalava il pericolo – dichiara Beltoise – ma naturalmente no l’ha scorta nessun altro, altrimenti si sarebbe potuto evitare l’incidente.” Il pilota cerca logicamente di difendersi, ma questa versione non coincide con quella del giorno prima. Il giudice locale, a cui è affidata l’inchiesta, denuncia  Beltoise per “omicidio in seguito ad incidente”, una formula che corrisponde al reato di omicidio colposo. Secondo il magistrato, la condotta imprudente del transalpino è stata la causa determinante dello schianto, indipendentemente che ci fossero i segnalatori, o che gli altri piloti avessero visto la vettura ferma. La vicenda intanto viene seguita con molta attenzione dalla stampa italiana, schierata dalla parte dei colpevolisti. In particolare, Sabbatini dalle colonne di “Autosprint” (che esce lunedì 11 gennaio con un’edizione speciale), si lancia in una dura offensiva contro il comportamento di Beltoise. D’altronde l’articolo 121R del codice sportivo vieta espressamente ai conduttori di “spingere o far spingere la vettura in tutti i casi, sia per riprendere la gara dopo un arresto lungo il percorso, sia  dopo essersi fermato ai box per qualsiasi motivo”. Nella settimana successiva alla tragedia, nella rubrica “La zanzara”, viene rispolverato un episodio avvenuto nel G.P. d’Austria a Zeltweg il 17 agosto del 1970, in cui Beltoise aveva commesso un’altra imprudenza, mai sanzionata. All’uscita della corsia box dopo aver compiuto un rifornimento lampo, per poter affrontare gli ultimi giri giunse in prossimità dell’uscita della pit-lane e si rituffò in pista incurante del semaforo rosso e delle bandiere dei commissari. Solo un miracolo evitò il contatto tra la sua Matra ed un’altra vettura che stava sopraggiungendo: era la Ferrari di Giunti! Un precedente che la dice lunga sul carattere irruente del francese. Ma torniamo alla“1000 km”. Nell’occhio del ciclone finiscono anche i commissari. In tanti si chiedono se fossero presenti.

A detta di Parkes c’erano, uno agitava la bandiera all’inizio della curva ed un altro faceva le segnalazioni in direzione della Matra ferma. Secondo Autosprint invece, i commissari si sarebbero trovati sul luogo dell’impatto solo a schianto avvenuto e non quando Beltoise spingeva la vettura; tesi avvalorata da prove fotografiche. Un altro capo d’accusa piomba sui pompieri, i cosiddetti “bomberos”, ai quali viene imputato di aver iniziato a gettare la schiuma ignifuga dopo circa 65 secondi, quando la tuta di un pilota resiste non oltre 30 secondi. Le polemiche non risparmiano nemmeno un personaggio come Juan Manuel Fangio, direttore di gara e responsabile dell’organizzazione. Interrogato dal magistrato, il cinque volte iridato risponde che l’incidente è da imputarsi alla fatalità:” Beltoise s’è comportato come ogni buon pilota, tentando di rimanere in corsa. Questa è soltanto una tragedia in più.” Affermazioni che “el chueco” ripete allo stesso Beltoise, al quale porta come esempio le tragedie avvenute nel ’55 a Le Mans e a Monza nel ’61.  Un cinismo che non è certo gradito da molti, tra cui Enzo Ferrari, che intervenendo in un dibattito del giornale radio condotto da Enrico Ameri, dichiara di supporre che il campione argentino intenda difendere la propria organizzazione e lo sport dell’automobile. Innocentiste anche le tesi di Ickx e Siffert, che parlano addirittura di un errore di Giunti. Secondo il belga:” il pilota che non ha mai spinto la propria vettura scagli la prima pietra”. Passano i giorni e si registrano nuovi sviluppi sotto il profilo giudiziario. Il provvedimento di carcerazione preventiva per omicidio colposo di Beltoise, viene sospeso in seguito all’istanza di libertà provvisoria chiesta dal legale del francese e al versamento di una somma di circa 4 milioni e mezzo di vecchie lire. A Beltoise viene inoltre concesso di lasciare l’Argentina per un periodo non superiore a due mesi, dietro pagamento di un’ulteriore cauzione pari all’importo della prima. Oltre alla giustizia ordinaria, la vicenda ha il suo decorso anche sotto il profilo sportivo. Inizialmente si vocifera di una scure pronta a calare su Beltoise che lo priverebbe addirittura della licenza. Col passare del tempo però, si ha l’impressione che i toni si smorzino, lasciando sempre più spazio alla parola fatalità e che la condanna si aggirerebbe intorno ai sei mesi. Lascia perplessi anche la notizia di una riunione speciale della GPDA tenutasi il 1 febbraio in Francia, guarda caso nella sede della Matra. Beltoise continua a professarsi innocente e addirittura non pentito della propria azione, sostenendo l’ipotesi di un probabile errore di calcolo da parte dell’italiano. Incalzato dal giornalista Beppe Viola, il francese punta l’indice contro la stampa italiana, rea di aver fomentato le accuse. Il tanto atteso verdetto finale arriva il 12 di febbraio e l’allora driver della Matra sarà costretto a restare fermo per soli tre mesi, saltando tre Gran Premi. A favore del transalpino avrebbero giocato le falle dell’organizzazione argentina, malgrado la difesa di Fangio. Insomma una pena ridotta, forse anche per l’influente peso politico della Federazione d’oltralpe, che per molti non renderà giustizia alla prematura morte di Giunti. Il 29enne pilota romano, noto come “il Re di Vallelunga”, era considerato da molti un grande talento dell’automobilismo italiano. Era nato nella Capitale il 29 agosto del 1941 e nel ’60 aveva iniziato a correre sulle moto. L’anno dopo era passato alle auto e su una Giulietta TI fece il suo esordio nella Frascati-Tuscolo. Ormai avviato alla carriera di pilota, iniziò a mettersi in luce con i primi successi ottenuti con Alfa Romeo e Abarth. Nel 1967 Giunti entrò a far parte dell’Autodelta la squadra corse ufficiale del Biscione e s’impose nel Campionato Europeo della Montagna. Nel febbraio del ’68 volò negli States per partecipare alla “24 Ore di Daytona” in coppia con Nanni Galli, ma un brutto incidente nei test gli impedì di prendere il via. Nel capottamento con la T33/2 si procurò una grave ferita al braccio e dovette sottoporsi ad un intervento chirurgico. Trascorse una breve degenza e tornò in pista siglando risultati importanti, sempre sull’Alfa 33 insieme a Galli. Si piazzò secondo alla “Targa Florio”, quinto alla “1000 km del Nurburgring” e quarto nella leggendaria “24 Ore di Le Mans”. Da rilevare che in tutte queste manifestazioni la coppia Giunti-Galli s’impose nella categoria 2000. Prestazioni eccellenti che non sfuggirono all’attenzione del Commendator Ferrari, che sul finire del 1969 chiamò il romano a Maranello affidandogli il volante della 512S. Per Giunti s’era realizzato il grande sogno. Certo, il compito non era dei più semplici: doveva contrastare il dominio della Porsche. E le aspettative non furono deluse. Il 21 marzo del 1970, portò al successo la rossa numero 21 pilotata con Nino Vaccarella e Mario Andretti, precedendo la Porsche 908 di Peter Revson e Steve McQueen, la popolare star del cinema. Sempre in quella stagione, Giunti esordì anche in Formula Uno con la 312B e su una pista impegnativa come quella di Spa-Francorchamps. Partito ottavo, ottenne un brillante quarto posto preceduto, per ironia della sorte, dalla Matra di Beltoise. Disputò anche i Gran Premi di Francia, Austria e Italia, ma senza mettersi in evidenza. Aveva però conquistato la fiducia del “Drake”. Nel celebre libro “Piloti che gente”, Ferrari scriverà queste:”… in mezzo a De Adamich e a Merzario c’è stato Giunti. Avrei potuto raccontare molto di più di Ignazio se la disgrazia di Buenos Aires del 1971, ancor oggi piena di impietose ombre, non ce lo avesse portato via. Fu una inconcepibile disgrazia, e il massimo colpevole rimase impunito, come fu evitata ogni contestazione a colui che, se non la favorì, nulla fece di quanto era possibile per evitarla.” Parole lapidarie che sono una sentenza inappellabile. Il 31 ottobre del ’71 a Vallelunga, in occasione della Coppa Giunti, penultima prova del Torfeo Europeo Marche per vetture prototipo sino a 2000 cc., venne scoperto un busto alla memoria dello sfortunato pilota. Jean Pierre Beltoise invece, proseguì la sua carriera fino al 1974, siglando anche una vittoria nel mondiale di F.1, il 14 maggio1972 a Monte Carlo sulla Matra. Fu stroncato da un infarto all’età di 77 anni dopo aver subito due ictus il 5 gennaio del 2015 mentre si trovava a Dakar. Beltoise aveva sposato Jacqueline Cevert, sorella di François (il pilota francese perito tragicamente al volante della Tyrrell nel 1973 durante le prove del G.P. Usa a Watkins Glen) ed era padre di due figli Anthony e Julien.

illustrazione © Carlo Baffi.

 

 

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About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



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