Published on Dicembre 10th, 2020 | by Massimo Campi
0Dodici cilindri contrapposti
I motori a 12 cilindri piatti hanno avuto il periodo di gloria negli anni ’70.
La tecnica dei motori nelle autovetture, si è evoluta mediante il frazionamento del numero dei cilindri. La meccanica delle vetture da competizione è sempre stata il metro del progresso e già all’inizio del secolo scorso le architetture in linea erano all’ordine del giorno nelle vetture da competizione. Il primo titolo mondiale, nel 1925, è vinto dall’Alfa Romeo P2 che sfoggiava un 8 cilindri in linea progettato da Vittoro Jano, come la sua diretta rivale, la Bugatti T35 che era equipaggiata da un analogo propulsore. Ma i motori in linea sono ingombranti e richiedono alberi di trasmissione molto lunghi con conseguenti problemi torsionali e numerosi supporti di banco. Progettualmente la migliore soluzione sarebbe quella di avere un 12 cilindri, impossibile però realizzarlo in linea per problemi di ingombri e di realizzazione dell’albero motore ed allora i tecnici studiano la soluzione di costruire due bancate accoppiate di sei cilindri ciascuna disposte a V. I primi motori a 12 cilindri a V risalgono al 1912, quando vengono montati sulla Packard Double Six, ed in seguito anche Cadillac, Lincoln, Rolls Royce ed Hispano-Suiza adottano questa soluzione per le loro vetture top. L’evoluzione è rappresentata dai motori a 12 cilindri contrapposti, in pratica con le due bancate disposte con un angolo di 180° tra loro. La soluzione permette di avere alberi motori compatti con solo sei perni di manovella e su ogni perno sono montate due bielle affiancate collegate ai pistoni opposti delle due bancate. Ogni manovella ha un perno di banco per ogni lato, in pratica sette perni, ma nella storia delle competizioni sono stati realizzati motori anche con soli quattro supporti di banco.
La prima a realizzare un motore di questo tipo è stata l’Alfa Romeo con la 512 del 1940, una monoposto che non ha mai partecipato ad alcuna competizione per via del secondo conflitto bellico mondiale. Il progettista è stato Wifredo Ricart, spagnolo e direttore tecnico della fabbrica del Portello a fine degli anni ’30. La sua intenzione era quella di sostituire l’Alfetta 158 progettata da Vittorio Jano e costruita a Modena dalla Scuderia Ferrari. La 512 era una monoposto a motore posteriore centrale, con posto guida avanzato ed il propulsore di 1,5 litri, 12 cilindri contrapposti e sovralimentato con un compressore tipo Roots. Il basamento, realizzato in due parti divise conteneva i 12 cilindri con canne umide, e l’albero motore con otto supporti di banco. La distribuzione a due valvole per cilindro era comandata da una cascata di ingranaggi. Consalvo Sanesi fu il collaudatore che fece il primo test della 512 il 12 settembre del 1940, ma la guerra pose fine ad entrambi i prototipi. Della 512 venero realizzati due esemplari, una è al Museo di Arese, l’altra è stata per anni al Museo della Scienza e Tecnica di Milano. Alla fine della guerra l’ingegner Ricart lascia l’Italia e l’Alfa Romeo per potenziali rischi personali e torna in Spagna dove successivamente si occuperà di nuovo di automobili. Dai rifugi saranno tirate fuori le vecchie Alfette 158 realizzate a Modena. Sarà con queste che l’Alfa conquisterà i primi due titoli mondiali della storia.
Dopo l’Alfa Romeo ci saranno altre realizzazioni di 12 cilindri contrapposti, come la bellissima Cisitalia di Piero Dusio, ma per vedere dei 12 cilindri contrapposti vincenti bisogna aspettare gli anni ’70 con Ferrari e Porsche che conquistano titoli mondiali. Il vantaggio dei 12 cilindri piatti è soprattutto quello di avere un baricentro molto basso con netti vantaggi nella tenuta di strada delle vetture da competizione. L’arrivo delle vetture a motore posteriore consente un netto abbassamento delle monoposto, si arriva alla guida sdraiata con le prime monoscocche Lotus di Colin Chapman, con indubbi ulteriori vantaggi sia dal punto di vista aerodinamico che della tenuta di strada.
Il V12 Ferrari diventa il motore da battere in Formula Uno.
In Ferrari già pensano ad abbassare il baricentro con lo studio di un 12 cilindri contrapposti nel 1964 di 1,5 litri, un vero gioiello di meccanica, anche se Surtees vincerà il titolo mondiale con un più tradizionale V8. In seguito a Maranello viene realizzato dall’Ing. Jacoponi, sempre sotto la guida di Mauro Forghieri il motore per la 212E, la barchetta per le gare in salita. Il 12 piatto ha una cilindrata di due litri con una potenza di 290 CV a 11800 giri/min che consentirà la vittoria del Titolo Europeo della Montagna a Peter Shetty.
Con la Formula Uno di tre litri la Ferrari nel 1966 scende in campo con il V12 derivato dalle vetture sport, con una testata a due valvole per cilindro che Forghieri riprogetta quasi subito con una nuova testata a tre valvole, ma i piloti della Ferrari di quegli anni: Bandini, Amon, Scarfiotti, Rodriguez, Parkes, Ickx, non riescono mai ad inserirsi nella lotta per il titolo mondiale che rimane appannaggio dei team inglesi. Mauro Forghieri in quel periodo è esiliato a Modena, in un ufficio studi per progettare le nuove vetture da corsa, dopo che la Ferrari ha fatto l’accordo con la Fiat per assicurare un futuro alla fabbrica di Maranello. Tra gli studi del tecnico modenese c’è quello per un nuovo motore da impiegare nel settore aeronautico leggero. Forghieri studia un motore piatto, per essere facilmente montato nell’ala di un aereo. L’accordo con l’industria aeronautica non va in porto, ma Forghieri parte da quella architettura per progettare la nuova unità destinata alle competizioni degli anni ’70. Era una struttura inconsueta, piatta con i 12 cilindri orizzontali e contrapposti, subito denominata “boxer”, ma in realtà si trattava di V12 con le bancate poste a 180°. L’albero a gomiti era munito di sei perni di manovella, su ciascuno dei quali venivano montate due bielle, ed il basamento era costituito da due parti simmetriche unite secondo un piano mediano verticale che tagliava a metà i supporti di banco.
I vantaggi del nuovo motore sono soprattutto quelli di abbassare notevolmente il baricentro della monoposto e quando scende in pista per le prime prove la nuova Ferrari 312B si capisce che la musica sta cambiando e la Ferrari è pronta a ritornare tra le protagoniste, anche se la messa a punto richiederà del tempo. Forghieri progetta un motore con solo quattro supporti di banco muniti di cuscinetti a rotolamento per ridurre gli attriti e ridurre la quantità di lubrificante durante il funzionamento. Inizialmente il motore era fornito di un albero motore composto, ma in seguito a grossi problemi di affidabilità Forghieri decise di impiegare un albero in un sol pezzo e di dotare di bronzine i due supporti di banco centrali, mentre le estremità erano sempre muniti di cuscinetti a rulli, con gli anelli esterni in un sol pezzo. I cilindri erano a canne riportate, che nella parte finale, per 28 mm, avevano uno spessore maggiore ed erano a diretto contatto col liquido di raffreddamento mentre per la parte rimanente erano a secco ed inserite a pressione nell’alloggiamento del basamento. I pistoni erano forgiati in lega di alluminio e nelle ultime versioni erano del tipo ad H. Le bielle erano realizzate in diverse versioni, sia in acciaio che in titanio. Le misure caratteristiche del 12 boxer erano 78,5 x 51,5 mm, in seguito l’alesaggio passò a 80 mm e la corsa a 49,6 mm. I due alberi a camme per bancata venivano azionati da due cascate di ingranaggi poste nella parte posteriore del motore. Le valvole, 31 mm per quelle di aspirazione e 27 mm per lo scarico, avevano un angolo di soli 20°. Il sistema di lubrificazione a carter secco era realizzato con una pompa di mandata di notevole portata ed il lubrificante destinato ai cuscinetti di biella entrava nell’albero per mezzo di canalizzazioni assiali. L’olio veniva poi recuperato da un sistema composto da tre pompe, una per ogni camera di manovella, ed altre due più piccole che provvedevano ad aspirare l’olio da ogni testa. I primi problemi che Forghieri dovette risolvere erano legati alla lubrificazione, tanto che indossò una tuta particolare e si mise sotto al motore aperto mentre lo faceva girare al banco prova per capire come si distribuiva l’olio. Nel 1970 la potenza era dell’ordine di 460 CV a poco meno di 12.000 giri/min; tre anni dopo crebbe a 485 a 12.200 giri/min e nel 1975, con la versione 312 T a 495 CV. Nel 1980 alla fine della sua evoluzione i cavalli erano circa 520 a un regime di 12.300 giri/min.
La 312B con il nuovo 12 boxer debutta nel 1970, con Jacky Ickx che conquista la prima vittoria in Austria. Il 12 cilindri di Forghieri, dopo la messa a punto, diventa un motore da primato. Il primo alloro mondiale per il 12 piatto arriva nel 1972 con la Ferrari 312P, l’ultimo prototipo ufficiale del cavallino rampante a ruote coperte. Per conquistare il primo titolo mondiale in F.1 ci vuole una nuova rivoluzione in Ferrari, con Forghieri nuovamente esiliato a Modena che traccia le linee della vettura per il 1974.
La nuova 312B3 conquista la prima vittoria in Spagna, con Lauda, ma sarà nel 1975 che l’asso austriaco riporterà la Ferrari in cima alla classifica mondiale con la nuova 312T, dotata sempre del potente 12 cilindri boxer e di un nuovo cambio trasversale. Nelle undici stagioni in cui è stato utilizzato, dal 1970 al 1980, le varie evoluzioni di questo motore hanno collezionato 37 vittorie su 158 partecipazioni, conquistando quattro titoli mondiali costruttori (1975, 1976, 1977 e 1979), tre titoli mondiali piloti (1975, 1977 e 1979), oltre a quello Mondiale Marche del 1972.
Tecno il sogno bolognese
La piccola realtà bolognese si fa rapidamente strada nel mondo delle corse anni ’60. La specialità sono i telai, le monoposto sembrano dei kart e le Tecno inziano a vincere campionati di F.3 lanciando tanti giovani piloti. I fratelli Pederzani preparano anche i motori, dopo avere vinto anche in F.2 nella officina bolognese inizia a farsi largo il sogno della F.1, della massima categoria dove potersi confrontare con grandi. Allora imperversava il V8 Cosworth, con relativo cambio Hewland, insomma si poteva andare in Inghilterra, prendere la meccanica, costruire il telaio e diventare uno dei tanti “garagisti” come li definiva Enzo Ferrari. I Pederzani invece volevano sognare in grande e per correre nella massima formula oltre al telaio costruiscono anche il motore, il primo realizzato completamente nella fabbrica. L’architettura scelta è quella della Ferrari, se a Maranello avevano realizzato il 12 cilindri boxer lo si poteva fare anche a Bologna. il progetto del nuovo motore di F1, 3000 cc 12 cilindri piatto, viene alla luce nottetempo, con i giovani disegnatori della Tecno guidati da Luciano Pederzani e Renato Armaroli. Il prototipo gira al banco già all’inizio del 1972, ma necessita di modifiche ed evoluzioni per essere competitivo con la concorrenza.
“Il progetto prese il via già nel 1971 ed in sei mesi il motore era pronto per girare al banco” Gianfranco Pederzani ricorda a distanza di anni quell’avventura “la scelta del frazionamento a 12 cilindri derivava dall’esperienza maturata nella preparazione dei quattro cilindri Cosworth di 1.000 cc della F.3. mantenemmo gli stessi dati di alesaggio e corsa per avere un buon equilibrio nella prestazioni, l’architettura piatta invece consentiva di avere un baricentro basso della vettura.”
Veniva assunto anche un giovane ingegnere, Sandro Bocchi, ex Ferrari e Lamborghini che eseguì diverse modifiche tra cui la riduzione di alcuni supporti di banco e l’alleggerimento di diverse parti ed infine venne montato sul nuovo telaio, derivato da quello della F.2 opportunamente modificato. Il debutto avviene, il 4 giugno al Gran Premio del Belgio a Nivelles, quinta prova del mondiale 1972, ma subito si capisce che c’è ancora molto lavoro da sviluppare. Nella versione più evoluta il 12 cilindri bolognese erogava oltre 450 CV a 11.000 giri/min, ma era l’affidabilità, le scarse risorse per lo sviluppo e la lotta intestina con lo sponsor a decretarne la fine. L’avventura Tecno in F.1 dura per due stagioni, l’epilogo arriva al GP d’Austria del 1973.
È il 19 agosto e Chris Amon, dopo un travagliato turno di prove scende dalla vettura, fa le valigie ed abbandona il Team. È la fine, sono anche finiti i soldi, ma soprattutto è finito l’entusiasmo sostituito da polemiche, accuse reciproche, avvocati. L’avventura della Tecno in F.1 termina così, in modo violento con la consapevolezza che si sarebbe potuto fare meglio. Finisce anche l’avventura dei Fratelli Pederzani nel mondo delle corse “avevamo perso l’entusiasmo e l’amore per le corse.” Ricorda Gianfranco Pederzani “Il mondo delle corse ci aveva nauseato e non sono andato più in una pista”.
La Porsche 917 è la regina delle gare sport con il V12 ad aria.
La Porsche 917 è considerata una delle maggiori icone sportive del secolo scorso. La sua carriera motoristica è durata pochi anni, tre in Europa, con due Titoli Mondiali Marche vinti, e due 24 Ore di le Mans. Cambiati i regolamenti, è andata a correre in America con il motore sovralimentato, sbaragliando la concorrenza nelle gare della Can-Am nei due anni in cui ha gareggiato (1972 e 1973).
Una vettura vincente, merito di un buon telaio, una aerodinamica efficiente dopo essere passata dalla versione originale a quella a coda tronca, sia nella versione sport per le gare mondiali che quella barchetta per la Can Am. Ma il principale successo deriva dal suo propulsore nato con una potenza in versione aspirata di poco più di 500 cv per raddoppiare nella versione sovralimentata.
Il 12 cilindri del prototipo Porsche è stato un capolavoro della progettazione meccanica, progettato da Hans Mezger, era raffreddato ad aria e aveva dodici cilindri contrapposti, con teste e cilindri singoli. Il basamento in lega di magnesio si apriva secondo un piano mediano verticale, che tagliava a metà gli otto supporti di banco. L’albero a gomiti, forgiato in acciaio da cementazione al nichel-cromo-molibdeno, era dotato di sei perni di manovella, su ciascuno dei quali erano montate due bielle in lega di titanio.
Tra i due perni di banco centrali l’albero motore era munito di un ingranaggio che trasmetteva il moto a un albero ausiliario, il quale a sua volta lo inviava alla frizione. L’olio destinato a lubrificare le bronzine di biella entrava nell’albero a gomiti dalle due estremità, tramite canalizzazioni assiali. Il circuito di lubrificazione a carter secco prevedeva una pompa di mandata e due di recupero principali, più altre quattro di piccole dimensioni che prelevavano il lubrificante dagli alloggiamenti degli alberi a camme. La distribuzione era bialbero con due valvole per cilindro, inclinate tra loro di 65°. I cilindri, ottenuti per forgiatura, erano in lega di alluminio, con riporto di cromo sulle pareti interne.
La versione originale, che ha esordito nel maggio del 1969 a Spa, aveva una cilindrata di 4.5 litri, ottenuta con un alesaggio di 85 mm e la corsa di 66 mm. La potenza iniziale raggiungeva i 520 cv, ben presto passati a 580 a 8.400 giri/min. Nel 1970 le misure caratteristiche sono passate a 86 mm per l’alesaggio con 70,4 mm di corsa con la cilindrata portata a 4,9 litri. Il nuovo motore ha esordito a Monza con la potenza salita a 600 cavalli. Nel 1971 sono stati adottati cilindri con riporto Nikasil, grazie a un lieve ritocco all’alesaggio si è poi arrivati al limite dei 4.999 cc di cilindrata e la potenza è cresciuta a 630 CV a 8300 giri/min. La versione per le gare del campionato Can-Am, sovralimentata mediante due turbocompressori KKK aveva una cilindrata portata a 5,4 litri. Nell’ultima versione del 1973 disponeva in assetto da gara di ben 1.100 cavalli, e si parla di oltre 1.200 in prova a dimostrazione di come il motore progettato da Hans Mezger potesse sopportare sollecitazioni ben maggiori di come era stato ideato.
L’Alfa Romeo è mondiale con il 12 piatto della 33TT12
Carlo Chiti è il grande capo dell’Autodelta, la struttura esterna dell’Alfa Romeo dedicata alle corse. L’impegno è soprattutto nelle gare di durata e parte con la 33/3 che sfida Ferrari e Porsche all’inizio degli anni ’70. L’otto cilindri si rivela un motore obsoleto, occorre più potenza per contrastare le nuove motorizzazioni turbocompresse e Chiti sviluppa un 12 cilindri piatto per correre con la nuova vettura. Come nel motore Ferrari, vengono impiegati solo quattro supporti di banco, l’alesaggio di 77 mm era abbinato a una corsa di 53,6 mm e la potenza è arrivata a circa 520 CV a 12000 giri/min. il 1975 è l’anno dell’Alfa Romeo dopo varie vicissitudini legate a scelte politiche della struttura parastatale.
In questo contesto si inserisce l’industriale tedesco Willy Kauhsen, un ex collaudatore Porsche, che era riuscito a coinvolgere una serie di sponsor disposti a entrare nel mondo delle corse di durata, e si offre all’Alfa Romeo per gestire in pista le sue macchine. L’occasione viene presa al volo dallo staff dirigenziale di Arese e dal suo presidente Cortesi, ed inizia una nuova avventura, vincente, per la vettura realizzata dall’ing. Chiti. Nella pausa invernale all’inizio del 1975 la 33TT12 era stata ulteriormente alleggerita e migliorata nelle prestazioni, il suo 12 cilindri boxer è uno dei migliori motori presenti nello sport automobilistico. Per l’Alfa corrono campioni del calibro di Arturo Merzario, Jacky Ickx. Jacques Laffitte Henry Pescarolo, Derek Bell Jochen Mass.
A fine stagione la 33TT12 conquista il titolo mondiale e si prepara a fornire i motori in Formula Uno. Bernie Ecclestone, patron della Brabham, intuisce che, per battere il 12 cilindri di Maranello, occorre un altro 12 cilindri e si rivolge all’Alfa Romeo per avere il motore della 33TT12. Ad Arese si capisce finalmente l’importanza delle vittorie sportive e parte il nuovo programma per la fornitura di motori alla Brabham.
Con gli anni ’70 finisce l’epoca d’oro dei pluri frazionati aspirati: le esigenze delle vetture ad effetto suolo, che male si sposavano con gli ingombri del 12 cilindri piatto hanno decretato la fine agonistica di questa tipologia motoristica che è stato sostituto dai nuovi propulsori turbocompressi tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80.
Immagini © Massimo Campi