Storia

Published on Agosto 17th, 2020 | by Massimo Campi

0

Zeltweg 1975: la tragedia di Mark Donohue

Austria 1975, la scomparsa di Donohue – di Carlo Baffi

Il Gran Premio d’Austria del 1975 è passato alla storia per il trionfo dell’eroico Vittorio Brambilla, capace di mantenere il comando al volante della sua March fino alla bandiera a scacchi sotto una pioggia torrenziale. Purtroppo però quel fine settimana, fu segnato da un tragico incidente verificatosi nel corso del warm-up. E’ la mattina di domenica 17 agosto. Sul tracciato dell’Österreichring a Zeltweg splende il sole ed i piloti stanno effettuando la mezz’ora di prove libere. E’ l’ultima occasione per verificare le condizioni della pista e l’assetto delle loro vetture prima della gara. Sono le 9 e 40, le monoposto stanno girando da circa 20 minuti, quando nei pressi della curva Hella-Light, la March 751 dell’americano Mark Donohue finisce fuori pista. Il punto si trova in cima alla salita del rettilineo di partenza-arrivo: un velocissimo tornante a destra che si affronta in quinta marcia a circa 260-270 chilometri orari. Le dinamiche dell’incidente sono abbastanza chiare a detta di alcuni testimoni.

All’origine di tutto c’è la foratura ed il conseguente scoppio della gomma anteriore destra: una Goodyear di tipo 47. Perso il controllo dell’auto, Donohue è finito in piena velocità tra le reti, strappandole per 70 metri e formando un grosso groviglio.

Come ricorda il Team Manager Giorgio Piccolo, allora testimone oculare a bordo pista: “Ho assistito all’incidente e, da pochi metri di distanza, alle operazioni di soccorso. A suo tempo, raccontai il tutto in un articolo pubblicato su Autosprint. Le reti travolte si ammucchiarono sotto la macchina facendo da trampolino, facendola letteralmente volare sopra il guard rail. Non è vero che la vettura tornò in pista dopo il primo urto come venne scritto da alcuni giornali dell’epoca: quando la vettura si fermò oltre il guard rail, era completamente libera dalle reti, che rimasero ammucchiate in pista, e non fu necessario usare le cesoie per estrarre il pilota. Fittipaldi si avvicinò, sentì il polso a Donohue, si rese conto che era ancora vivo, spostò il tubo che reggeva una pubblicità e che teneva rovesciata la testa del pilota, infine gli tolse il casco. Intanto era sceso nella scarpata anche un infermiere che gli praticò una flebo, Donohue apri gli occhi e scambiò qualche parola con Fittipaldi e Stuck, nel frattempo sceso anche lui, assieme a Evans. Con delicatezza, Fittipaldi e Stuck lo estrassero dal rottame e lo portarono sulla pista. Ricordo anche che vidi volare via dalla parte posteriore della macchina un pezzo nero prima dell’uscita di strada, quindi deduco che la foratura sia avvenuta ad una gomma posteriore, direi la destra.” 

La situazione appare subito grave, dal momento che Donohue è rimasto intrappolato tra i rottami della macchina e le prove sono sospese. Uno dei primi ad accorrere insieme ai soccorsi è Emerson Fittipaldi che giunto sul luogo dello schianto ferma immediatamente la sua McLaren. “C’erano sparsi molti rottami – dichiarerà il brasiliano – e quando mi sono avvicinato ho visto che Donohue era ancora vivo. Con l’aiuto di Stuck, Evans e un medico, l’ho estratto dalle lamiere e poco dopo s’è ripreso. Malgrado sia stato protetto dal casco e dal roll-bar della March, Mark ha subito un violento colpo alla testa. Purtroppo nel pauroso schianto sono rimasti coinvolti altre due persone. Sono Manfred Shaller, un commissario di percorso e Richard Huettner, una guardia.

I tre malcapitati sono dapprima curati al centro medico del circuito, dopo sono trasferiti in ospedale. Donohue viene portato presso la clinica universitaria di Neuro Chirurgia di Graz a bordo di un elicottero. Ma le cose si complicano. Durante il trasporto, il cuore dello statunitense a cui è stata diagnosticata una grave commozione cerebrale, si ferma e si rendono necessari un massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Giunto all’ospedale viene subito sottoposto ad un delicato intervento chirurgico condotto dal professor Fritz Heppner, per la rimozione di un embolo al cervello. Intanto la notizia giunge in America e Roger Penske, proprietario del team di Mark affitta un jet e vola in Europa. Malauguratamente anche gli atri due feriti, ricoverati presso l’ospedale di Knittelfeld, versano in condizioni critiche. Shaller lamenta lesioni interne causate dal cerchione che l’ha colpito all’addome. Per Huettner, si parla di una frattura cranica e si trova con metà del suo corpo paralizzato. Se quest’ultimo se la caverà, il ventunenne Shaller si aggrava e morirà due giorni dopo (s’era resa necessaria l’asportazione di un rene e della milza). Purtroppo anche Donohue non migliora e poche ore dopo, dalla clinica di Graz giunge la notizia che il trentottenne americano s’è spento alle 2.55 per emorragia cerebrale. Dopo l’intervento, non s’era più ripreso.

Nella speranza di poter salvare l’amico, Penske aveva chiamato Stirling Moss ed insieme avevano telefonato al chirurgo che aveva operato il pilota inglese dopo il terribile incidente a Goodwood nel ’62. Ma i medici avevano sentenziato che ormai c’era poco da fare. Il Circus è chiaramente sotto shock e ci si interroga sul motivo che ha provocato il cedimento del pneumatico dal momento che oltre alla March, altre monoposto hanno lamentato dechappamenti durante il warm-up. Forse la spiegazione di questi problemi è da imputarsi alla temperatura ambientale, che era passata dal fresco del sabato al caldo della domenica. Non a caso la Goodyear aveva ritirato le gomme ed ai piloti era stato concesso di tornare in pista per una seconda sessione di prove prima della corsa, solo alle 14.30. Un ritardo dovuto alla sostituzione delle lame del guard-rail distrutto nell’incidente. A complicare il tutto ci si era messo anche il meteo con l’arrivo di nuvoloni ed il conseguente diluvio. Insomma una giornata molto travagliata che aveva avuto un tragico epilogo.

Mark Donohue era nato a Summit, nello stato del New Jersey il 18 marzo del 1937. Cresciuto in una famiglia molto benestante (il padre avvocato era socio di un importante studio legale a Wall Street), frequentò le scuole private per poi laurearsi in ingegneria meccanica, vista la sua grande passione per i motori. Con l’aiuto del padre comprò una Chevrolet che provvide subito ad elaborare per gareggiare con gli amici. Ma non gli bastava e così nel 1960 debuttò nelle competizioni vere: dapprima in una corsa in salita nel New Hampshire, poi con le vetture sport mettendosi in luce e conquistando il titolo nazionale. Nel ’65 ne vinse addirittura due in una sola stagione, sia al volante di una Mustang-Shelby che di una Lotus-Ford e venne premiato dal “New York Times” come miglior dilettante dell’anno. La grande svolta in carriera ebbe però luogo quando Mark incontrò Roger Penske, un ex-pilota affermatosi come imprenditore di successo nel mondo del motorsport a stelle e strisce. Tra i due nacque un’intesa perfetta. Da una parte il fiuto infallibile del businessman, dall’altro il talento del pilota-ingegnere. Donohue si laureò campione per due anni consecutivi nella Trans-Am con le stock car e nel ’71 esordì in F.1 nel Gran Premio del Canada a Mosport, piazzandosi subito terzo; guidava una McLaren-Ford schierata da Penske.

Il 1972, salutò il suo trionfo nella leggendaria “500 Miglia” di Indianapolis alla media di record di 192.962, ovviamente a bordo di una Penske. Sempre in quella stagione s’impose nel campionato Can-Am su una Porsche 917/10 turbo preparata dall’amico Roger. Un’annata che si chiuse con un brutto incidente, che costrinse Mark a trascorrere un po’ di tempo presso il Piedmont Hospital di Atlanta. Li conobbe Eden White, una fotomodella che sposerà in seconde nozze. Lei non era entusiasta di unirsi ad un pilota automobilistico, i rischi a quell’epoca erano moltissimi, ma se ne fece una ragione. Nel ’73, dopo essersi riconfermato campione Can-Am, Donohue decise di appendere il casco al chiodo. Sarebbe comunque rimasto nel team Penske come tecnico. Poi verso la metà del 1974, grazie al contributo di una grossa banca, Roger decise di tuffarsi in una nuova avventura: la Formula Uno. Un progetto ambizioso che indusse Mark a ritornare in pista dopo la luna di miele con Eden in un’isola della Giamaica. Così rieccolo calarsi nuovamente nell’abitacolo di una monoposto, guarda caso proprio a Mosport dove aveva esordito. Giunse dodicesimo e nella gara successiva, in patria, a Watkins Glen si ritirò.

Il 1975 si aprì con un settimo posto in Argentina seguito da prestazioni non soddisfacenti. La migliore fu una quinta piazza in Svezia. Per queste ragioni, Donohue convinse la scuderia ad abbandonare momentaneamente la Penske PC1; in attesa di poterla schierare in pista più competitiva. E con l’aiuto di uno sponsor venne acquistata, per circa quaranta milioni di lire, una March 751 (lo stesso modello di Brambilla). Mark la portò in gara a Silverstone, dove concluse quinto (era partito 15°) nonostante fosse rimasto coinvolto in una carambola al penultimo giro alla curva Stowe, complice un violento acquazzone che fece interrompere la gara. Per fortuna sua, l’ordine d’arrivo venne stilato al momento della bandiera rossa. Nel round successivo al Nurburgring dovette abbandonare e poi arrivò il fatale incidente di Zeltweg. Pochi giorni prima, il 9 agosto, Donohue aveva stabilito il record per circuiti chiusi a Talladega in Alabama sulla Porsche 917, girando a 221,03 miglia all’ora.

Testo ed illustrazione © Carlo Baffi.

 

 

 

Tags: , , ,


About the Author

Perito meccanico, fotografo, giornalista, da oltre 40 anni nel mondo del motorsport. Collaborazioni con diverse testate e siti giornalistici del settore.



Back to Top ↑