Published on Aprile 10th, 2020 | by Massimo Campi
0Ford V8 contro il v12 del cavallino
I motori V8 fanno parte della storia americana, le grandi macchine di serie e quelle da corsa continuano a montare queste unità che sono apparse sin dal 1914, quando la Cadillac mise in commercio la prima vettura con questa motorizzazione. La Ford nel 1932 mette in produzione il suo primo V8 a valvole laterali e nel dopoguerra, con la ripresa delle corse automobilistiche, inizia la storia agonistica di questo tipo di propulsore. Il terreno ideale dei V8 sono le classiche gare statunitensi sugli ovali con le stock cars, sino a quando la Ford decide di varare un imponente programma sportivo all’inizio degli anni ’60. L’obbiettivo è quello di vincere le due più importanti competizioni al mondo, ovvero la 500 Miglia di Indianapolis e la 24 Ore di Le Mans.
Su catino dell’Indiana imperversano le monoposto con il 4 cilindri realizzato da Fred Offenhauser, un propulsore che ricalca il motore Peugeot che ha dominato nei primi anni del secolo. Le monoposto americane sono ancora a motore anteriore, grosse, pesanti, ingombranti, e la Ford sceglie come partner la Lotus per sbancare Indy. Colin Chapman realizza la Lotus 28, che partecipa alla 500 miglia del 1963 con Jim Clark. Monta il V8 Ford di 4,2 litri direttamente derivato da quello della Fairlane e sale sul secondo gradino del podio dietro alla Watson Offenhauser di Parnelli Jones lanciando un campanello d’allarme ai costruttori americani ancora legati ai vecchi schemi tecnici. Il V8 Ford è completamente in lega di alluminio, per contenere il peso, con la lubrificazione a carter secco. La distribuzione, a due valvole per cilindro, è ancora ad aste e bilancieri, e la Ford, unica nelle gare americane dell’epoca, ha scelto di utilizzare benzina, al posto delle miscele a base di metanolo, per sottolineare la parentela con il motore di serie che raggiunge la potenza di 375 cavalli a 7200 giri/min. Particolarità la conformazione degli scarichi, che partono dal centro della V delle testate mentre i condotti di aspirazione sono sul lato esterno. La sfortuna colpisce la Lotus anche per l’edizione del 1964, con il V8 aggiornato ed una potenza salita a 425 cv a 8.000 giri, ma la grande affermazione arriva nel 1965 con Jim Clark che vince la 500 Miglia di Indianapolis grazie alla Lotus 38, la prima vettura a motore posteriore a salire sul gradino più alto del podio nel catino dell’Indiana. Progettata da Colin Chapman e Len Terry, la monoposto ha il telaio monoscocca ed il V8 Ford, sempre di 4,2 litri, eroga una potenza di quasi 500 cv utilizzando però una miscela di metanolo e toluene al posto della benzina.
Il pilota scozzese parte dalla pole position e domina la gara lasciando la testa solo durante i rifornimenti. Tra le particolarità della Lotus 38 ci sono le sospensioni con bracci di lunghezza diversa sul lato destro e su quello sinistro per favorire la maneggevolezza sui circuiti ovali, dove si gira solo a sinistra. La 38 serve in seguito come base per la Lotus 49 di F.1 ed altre monoposto come la Coyote realizzata da A.J. Foyt.
A Detroit intanto cresce l’interesse per le gare automobilistiche, la pubblicità creata dalle vittorie è notevole e la dirigenza Ford decide di impegnarsi direttamente in nuovi progetti per fare diventare internazionale il marchio dell’ovale. Il centro tecnologico è in Europa, l’Italia per i motori, l’Inghilterra per i telai. Le gare di durata sono quelle che attirano le grandi folle, soprattutto la 24 Ore di Le Mans, dove vincere è sinonimo di gloria e quindi di pubblicità. Enzo Ferrari declina malamente la cessione della sua fabbrica a Detroit, Henry Ford lancia il guanto di sfida ed inizia la costruzione della nuova granturismo Ford, la Gt40.
Il propulsore è una versione addolcita del tipo impiegato a Indianapolis l’anno precedente, per il telaio la Ford ricorre inizialmente alla Lola che ha già realizzato una granturismo a motore centrale per le gare di durata. Presentata all’Auto Show di New York 1964, la GT40 è dotata del V8 do 4,2 litri. Debutta alla 1000 Km del Nurburgring, e tre esemplari sono iscritti a Le Mans 1965, ma subito si capisce che ci sono grossi problemi di affidabilità e di aerodinamica. La Ford ricorre alla struttura di Carroll Shelby che riprogetta la vettura per il 1965. Inizialmente le GT40 MkI sono dotate di telaio in acciaio e motori V8 Small Block di cilindrata ridotta, Carroll Shelby monta il V8 Small Block di 4,7 litri più potente e affidabile di quello precedente e migliora soprattutto la parte frenante molto sottodimensionata. Il 1965 inizia con la prima vittoria per la GT40 MkI nella 2000 Km Daytona, vince anche la classe a Sebring, ed arriva la sfida a Le Mans.
Shelby per la maratona francese equipaggia due vetture con il motore V8 Big Block derivato dalla Ford Galaxie. La nuova versione GT40 MkII con il V8 di 6.982 cc, ha una potenza di oltre 500 cv. Le vetture sono subito molto veloci ma fragili e ancora una volta la 24 Ore di Le Mans rimane stregata per gli americani: sarà la Ferrari 250LM della North American Racing Team a salire sul gradino più alto del podio dopo una gara con molti ritiri per rotture ed incidenti da ambo le parti.
La Gt40 ha un telaio in acciaio molto pesante che sollecita trasmissioni e freni, mentre Shelby continua lo sviluppo della MkII i progettisti Ford prendono in considerazione la realizzazione di una scocca in alluminio e leghe leggere, già consigliata all’epoca da Eric Broadley. A fine 1965 viene studiata una struttura a nido d’ape stretta tra due lamine di alluminio affidata per la realizzazione alla Brunswick Aerospace. Nasce la nuova Gt40 sperimentale, sempre con il Big Block da 7 litri accoppiato ad una nuova trasmissione automatica a 2 rapporti realizzata dalla Kar Kraft, che rimpiazza il vecchio cambio manuale a 4 rapporti. Molti componenti come freni ed altre parti vengono prelevati dalla MkII ed il nuovo prototipo è dotato di un’avvolgente carrozzeria in fibra di vetro con coda alta e tronca. Considerata un’auto sperimentale la nuova vettura viene denominata semplicemente “J-car”, in riferimento all’Allegato J del Codice Sportivo in base ai cui dettami era stata costruita. Pesa 940 Kg, 200 in meno della MkII, dopo una serie di prove sul tracciato di Riverside viene inviata per i test della maratona francese del 1966. La J-Car è molto veloce, al volante si alternano Bruce McLaren e Chris Amon, ed a fine giornata il prototipo americano ottiene il giro più veloce, ma manca ancora un vero test sull’affidabilità e la vettura non viene iscritta alla gara, che vede al via le più collaudate MkII. Il ritmo di gara imposto dalle Ford è velocissimo, tutti gli altri avversari devono soccombere ed alla fine saranno Bruce McLaren con Chris Amon a salire sul gradino più alto del podio seguiti da altre due vetture gemelle tra cui quella di Ken Miles/Dennis Hulme, i veri mattatori della gara costretti a rallentare dai dirigenti Ford. Intanto per celebrare la vittoria, la Ford produce anche una nuova versione stradale, la Gt40 MkIII con il sette litri Big Block depotenziato a 355 cv e sospensioni più morbide.
Dopo le prove a Le Mans, il primo esemplare di J-car viene rispedito in America, servirà come banco prova per diverse configurazioni della carrozzeria e darà vita ad un secondo esemplare completato in agosto per partecipare alle gare Can-Am. Durante un test a Riverside, Ken Miles esce improvvisamente di pista perdendo la vita. Le cause rimangono sconosciute, i tecnici eseguono dei crash test sulla prima vettura e viene realizzato un terzo esemplare con una pesante gabbia di sicurezza che vanifica gran parte del risparmio di peso. Da questa terza vettura nasce la nuova Ford Gt40 MkIV J-3 sviluppata da Carroll Shelby. Il motore è sempre il V8 Big Block di sette litri accoppiato però ad un cambio manuale al posto di quello automatico.
Per il 1967 la Ferrari realizza la nuova 330P4, a Daytona sono tre le rosse a conquistare il podio. La Ferrari ha sconfitto la Ford in casa sua, la fotografia delle tre vetture di Maranello in parata fa il giro del mondo, è uno smacco per il colosso americano che deve reagire prontamente. Il debutto in gara della nuova MkIV J-3 avviene a Sebring, nelle mani di Bruce McLaren e Mario Andretti, la Mk IV dalla livrea giallo brillante ottiene la pole position con un margine di 2,6 secondi e conquista la vittoria con un distacco di 12 giri sulla vettura arrivata seconda.
Per la 24 Ore di Le Mans 1967 vengono realizzati quattro nuovi telai di MkIV. Intanto la J-3 gira nei test e fa registrare una velocità di punta di 332 km/h sull’Hunaudieres. I quattro nuovi telai vengono consegnati alle due squadre ufficiali: la J-5 e J-6 vanno al team Shelby American per McLaren/Donohue e Gurney/Foyt e la J-7 e J-8 vengono iscritte dal team Holman & Moody per Andretti/Bianchi e Ruby/Hulme. Oltre alle nuove MkIV ci sono altre tre GT40 MkII ufficiali di Carroll Shelby che devono combattere contro sette Ferrari tra ufficiali e private e le due Chaparral 2F spinte da motori Chevrolet. Le GT40 MkIV del Team Shelby sono tra le più veloci in prova, Bruce McLaren segna la pole position davanti alla Chaparral di Mike Spence e Phil Hill. La più veloce Ferrari è settima e più lenta di quattro secondi rispetto alla MkIV, ma le rosse puntano sull’affidabilità e sul ritmo di gara ed al via risalgono la classifica a mano a mano che le Ford e le Chaparral perdono tempo ai box o si ritirano.
Dennis Hulme gira velocissimo battendo più volte il record sul giro ma il compagno Ruby esce di pista danneggiando la coppa dell’olio. Andretti ha un incidente nel bel mezzo della notte per colpa dei freni, la vettura di McLaren e Donohue perde un sacco di tempo per riparare il cofano posteriore esploso in piena velocità finendo poi quarta. Unici regolari sono Dan Gurney e A.J. Foyt che disputano una corsa priva di contrattempi e vincendo con cinque giri di vantaggio sulla migliore delle Ferrari, ottenendo anche la prima vittoria di un’automobile completamente realizzata negli Stati Uniti con un equipaggio americano. La particolarità di questa vettura era la “Gurney-bubble” un rigonfiamento sul tetto per permettere la guida a Dan Gurney, ex marines e decisamente più alto della statura media dei piloti.
Il giorno successivo alla vittoria 1967 vengono annunciati i regolamenti per la stagione 1968, con l’impiego di vetture sport, prodotte in almeno 50 esemplari e cilindrata massima 5 litri e prototipi con cilindrata massima 3 litri, il tutto per ridurre le prestazioni che si erano elevate in moto esponenziale negli ultimi tre anni. Di fatto le GT40 di sette litri sono fuori dalla lotta ed entrano nel museo Ford, Per qualche tempo tutte le MkIV vengono esposte in vari saloni dell’auto e alla fine dell’anno la J-6 viene consegnata ad A.J. Foyt per celebrare la sua vittoria al debutto a Le Mans. In seguito sono realizzati altri due telai, utilizzati con scarso successo nelle gare Can-Am.
La storia delle GT40 però non finisce, con i nuovi regolamenti sportivi ritornano in auge le vecchie MkI con il V8 di 4.942 cc ed una potenza di circa 415 CV. Ci pensa John Wyer con la sua J.W. Automotive Engineering Ltd sponsorizzata con i colori azzurro/arancio della Gulf Oil a gestirle in pista. La Gt40 MkI deve lottare contro i prototipi di tre litri, veloci, ma meno affidabili della sport americana. Della Gt40 vengono prodotte ben 123 esemplari nelle varie versioni, sia corsa che stradali, ma in pista è ancora una ottima vettura per le squadre private e conquista ancora due vittorie nella maratona francese.
Nel 1968 sono Pedro Rodriguez e Lucien Bianchi a salire sul gradino più alto del podio, mentre Jackie Oliver e Jacky Ickx sono primi nel 1969 dopo avere lottato contro le Porsche 917 e 908. Con questo successo la Gt40 finisce la sua gloriosa carriera sportiva, diventando una icona del motor sport.
Immagini © Massimo Campi e Ford media