Formula 1

Published on Settembre 1st, 2014 | by redazione

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F1 Gran Premio d’Italia: la tradizione della Scuderia Ferrari a Monza

Quello che si corre domenica è il 65° Gran Premio d’Italia valido per il Campionato del mondo di Formula 1 nonché l’unica gara, insieme al GP di Gran Bretagna, ad essere sempre stata inserita nel calendario iridato. Si è sempre corso sul tracciato lombardo di Monza eccezion fatta per il 1980, quando la gara si disputò all’Autodromo Dino Ferrari e venne vinta dalla Brabham di Nelson Piquet. La Scuderia Ferrari nel corso degli anni si è imposta 18 volte (in percentuale nel 28% delle occasioni) ottenendo anche 19 pole position e 64 podi.

Velocità, scie e paura. Monza, dopo la sparizione della vecchia Hockenheim, resta l’unica pista veramente vecchio stile della Formula 1 (un discorso a parte vale per Spa-Francorchamps). Lungo i suoi rettilinei, un tempo non intervallati dalle tre chicane che ci sono oggi, si sono vissuti alcuni dei duelli più serrati della storia, con decine di sorpassi ad ogni giro favoriti dalla facilità di prendere la scia delle vetture davanti: memorabile l’edizione 1971, vinta da Peter Gethin (BRM) con un centesimo di vantaggio sulla March di Ronnie Peterson e le prime cinque vetture racchiuse in sei decimi. Una pista così veloce è stata però anche teatro di diverse tragedie: tra le vittime Alberto Ascari, Wolfgang Von Trips, Jochen Rindt e proprio Peterson.

I primi successi. La prima affermazione della Ferrari a Monza arrivò nel 1951 con la 375 e Alberto Ascari che fece doppietta con José Froilan Gonzalez. Il pilota milanese concesse il bis l’anno seguente, poi fu necessario attendere il 1960 quando ci fu una vittoria facile perché i team britannici boicottarono il Gran Premio per protestare contro l’uso dell’anello di alta velocità, costruito nel 1955 e ritenuto troppo pericoloso. Le Ferrari fecero tripletta con Phil Hill, Richie Ginther e Willy Mairesse. L’anno seguente i protagonisti c’erano tutti ma ci fu anche la tragedia. Von Trips venne a contatto con la Lotus di Jim Clark e perse la vita insieme a 14 spettatori. Vinse la 156 di Hill, che diventò anche il primo americano Campione del mondo. Invece di festeggiare, però, si pianse.

Vittoria chiave. Nel 1964 la Scuderia Ferrari tornò a trionfare con John Surtees che dominò la gara con la 158 dopo aver sconfitto l’iniziale concorrenza di Dan Gurney. Con quel successo fondamentale il britannico tornò in lizza per il titolo mondiale che avrebbe rocambolescamente vinto nell’ultima gara, in Messico. Ugualmente importante, due anni dopo, fu la vittoria di Ludovico Scarfiotti che, facendo doppietta insieme a Mike Parkes al volante della 312, salvò il bilancio di una stagione fin lì non troppo positiva.

Gli anni Settanta. Dopo tre edizioni di digiuno la Casa di Maranello tornò al successo nel 1970 grazie a Clay Regazzoni che riuscì ad avvantaggiarsi nei giri finali sulla March di Jackie Stewart. Cinque anni dopo lo svizzero concesse il bis in una giornata di gran festa per la Scuderia: con il terzo posto Niki Lauda riportava infatti il titolo Piloti a Maranello, undici anni dopo Surtees. La stessa festa si ripeté quattro anni dopo quando Jody Scheckter, scortato al traguardo dal compagno Gilles Villeneuve, si laureò matematicamente campione.

Il “miracolo” del 1988. La vittoria di Scheckter segnò l’inizio di un lungo digiuno per la Scuderia a Monza. Al Gran Premio d’Italia del settembre 1988 la Ferrari si presentò con una grande tristezza nel cuore. Quella era infatti la prima uscita dalla morte del fondatore Enzo, avvenuta ad agosto. In qualifica le McLaren di Alain Prost e Ayrton Senna, padrone della stagione, monopolizzarono la prima fila. In gara Prost si ritirò per un guasto mentre Senna sembrava lanciato verso una facile vittoria. A tre giri dal termine, tuttavia, l’asso brasiliano si trovò davanti la Williams di Jean-Louis Schlesser da doppiare. Il pilota francese sembrò dare strada alla McLaren, ma invece finì per speronare Senna costringendolo al ritiro. Fu doppietta con Gerhard Berger che chiuse davanti a Michele Alboreto. Il giorno dopo alcuni giornali scrissero che Enzo Ferrari, da lassù, aveva “ispirato” la sciagurata mossa di Schlesser…

L’era Schumacher. Passarono altri otto anni prima di rivedere una Ferrari sul gradino più alto del podio a Monza: era il 1996 e a centrare il successo fu il grande Michael Schumacher, che a Monza si impose di nuovo nel 1998, con un grandioso sorpasso ai danni della McLaren di Mika Hakkinen alla Variante della Roggia; nel 2000, quando raggiunse il numero di vittorie di Ayrton Senna e non riuscì a trattenere le lacrime in conferenza stampa; nel 2003 e nel 2006. Sempre a quell’era appartengono i trionfi di Rubens Barrichello del 2002 e del 2004, quando le Ferrari recuperarono dal fondo del gruppo dopo una scelta sbagliata di gomme (Rubens) e un testacoda alla Roggia (Michael).

L’era Alonso. L’ultimo successo Ferrari a Monza è targato Fernando Alonso. Nel 2010 lo spagnolo, già primo nel 2007, fu protagonista di un prolungato duello con la McLaren di Jenson Button che alla fine fu costretto a cedere alla decisione di Fernando e alle prestazioni della F10. Per quanto riguarda Kimi Raikkonen, il finlandese a Monza non ha mai vinto, il suo miglior risultato è il secondo posto del 2006.

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